Carboplatino Paclitaxel Bevacizumab

Carboplatino Paclitaxel Bevacizumab

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Il trattamento oncologico con carboplatino e paclitaxel rappresenta uno degli schemi chemioterapici più utilizzati per il trattamento di neoplasie solide. Ad essa può aggiungersi anche un terzo farmaco, il bevacizumab.
Questa terapia è indicata per trattare il tumore dell’ovaio e i tumori del torace, ad esempio il tumore del polmone.
Il Carboplatino, è un farmaco, che contiene il metallo platino mentre il paclitaxel è un farmaco che riproduce una sostanza contenuta nella corteccia di un tipo di tasso del pacifico chiamato Taxus brevifolia (da cui appunto il nome commerciale del farmaco: taxolo).
L’azione antitumorale svolta da questi 2 farmaci è differente e complementare.
Il carboplatino infatti agisce danneggiando il DNA delle cellule tumorali, danno che se risulta irreparabile, porterà le cellule alla morte.
Il paclitaxel invece blocca un processo chiamato mitosi, fenomeno di moltiplicazione cellulare che permette ad una cellula di generarne due cellule figlie.
Al contrario degli altri due farmaci, il bevacizumab è un farmaco che ha la struttura di un anticorpo (appartiene infatti ad una classe di farmaci detta anticorpi monoclonali).
Esso si lega a una proteina chiamata VEGF – Fattore di crescita vascolare endoteliale che normalmente promuove la formazione e lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni.
Il bevacizumab blocca il VEGF e quindi ostacola lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni attraverso i quali arrivano gli approvvigionamenti di cui il tumore ha bisogno per crescere.
L’aggiunta di bevacizumab al trattamento con carboplatino e paclitaxel può quindi migliorare l’efficacia complessiva del trattamento.
La terapia con carboplatinio, paclitaxel e bevacizumab viene somministrata in vena, ogni 3 settimane.
La durata del trattamento è variabile, infatti dipende dal tipo di tumore e dall’intento con cui viene prescritto.
Generalmente, il trattamento chemioterapico si interrompe dopo 6-8 cicli di terapia. Ricordiamo che nel carcinoma ovarico bevacizumab deve essere associato alla chemioterapia con carboplatino e paclitaxel per almeno 2 cicli su 6-8 cicli complessivi previsti.
Dopo la fase di combinazione a 3 farmaci si può continuare con un periodo di mantenimento, ovvero una fase in cui viene somministrato solo il bevacizumab ogni 21 giorni per 22 cicli complessivi.
Per il tumore dell’ovaio, la fase di mantenimento con il bevacizumab può talvolta essere potenziata con l’aggiunta di un farmaco che si prende per bocca chiamato olaparib, di cui parleremo in un apposito video.
Durante l’infusione endovenosa, il carboplatino, il paclitaxel e il bevacizumab non sono gli unici farmaci che il paziente riceve.
Esistono infatti altri farmaci chiamati ancillari, cioè di supporto, che vengono somministrati insieme ai chemioterapici per ridurne gli effetti collaterali. Parliamo di cortisone, antistaminici e farmaci per prevenire la nausea e il vomito.
In merito agli effetti collaterali, in base alla tempistica di insorgenza possiamo avere: effetti immediati che si manifestano durante la terapia oppure effetti precoci ed effetti tardivi, che invece si manifestano nell’arco di ore o giorni dopo la somministrazione.
Effetti collaterali immediati possono essere reazioni allergiche, che generalmente si verificano durante l’infusione dei farmaci, nausea o vomito e alterazioni del gusto. Va precisato che i trattamenti ancillari riducono sensibilmente il rischio di reazioni allergiche e di nausea o vomito.
Un effetto indesiderato immediato del trattamento con bevacizumab può essere l’aumento della pressione arteriosa. Questo fenomeno può essere gestito con i comuni farmaci anti-ipertensivi.
Durante il trattamento con bevacizumab, il medico vi chiederà di misurarvi la pressione al mattino a giorni alterni e di tenere un diario per monitorare questi valori. Qualora questi salissero oltre i 140/100 può essere indicato avviare un trattamento anti-ipertensivo. Ricordiamo che talvolta la pressione alta può causare mal di testa, ma può anche non dare sintomi.
Gli effetti precoci, ovvero quelli che si possono verificare nell’arco di alcuni giorni o settimane dal termine del trattamento sono la fatigue, termine inglese che indica un senso di spossatezza fisica e mentale non legata a sforzo fisico importante; dolori alle ossa o ai muscoli; mucosite orale, ovvero l’infiammazione della mucosa della bocca che si manifesta solitamente con bruciore o dolore in bocca o alla deglutizione; disturbi intestinali come stitichezza o diarrea.
È possibile, inoltre, che si verifichi anche un abbassamento dei valori di emoglobina, globuli bianchi e piastrine nel sangue. Questo fenomeno può portare a stanchezza, aumentato rischio di infezioni e di sanguinamenti.
Altri effetti indesiderati del bevacizumab sono una ritardata cicatrizzazione delle ferite. Per questo motivo il trattamento viene iniziato generalmente dopo 40-60 giorni dall’intervento chirurgico e viene sospeso in caso la persona debba sottoporsi ad un altro intervento chirurgico.
Gli effetti indesiderati meno frequenti sono le trombosi e le emorragie. Ricordiamo come bevacizumab sia controindicato in corso di emorragie o trombosi o nelle persone ad alto rischio di sviluppo di questi eventi.
Gli effetti indesiderati che possono manifestarsi dopo alcune settimane o mesi sono la perdita di capelli e dei peli, questo avviene pressoché sempre; non sempre invece si presenta una alterazione delle unghie, che possono diventare più fragili, cambiare colore, essere dolenti e a rischio di infezioni (di questo ne parleremo dettagliatamente in un altro video). Infine, può presentarsi una neuropatia periferica, cioè un disturbo che alle mani e ai piedi che comprende formicolii o lieve alterazione sensibilità.
Il trattamento con carboplatino e paclitaxel è generalmente ben tollerato con effetti collaterali transitori e reversibili nel tempo successivo la sospensione del trattamento.
Ricordo che è necessario contattare il medico ogni volta che questi effetti indesiderati sono intensi o prolungati.
Un sintomo che richiede un immediato contatto con il medico è la comparsa di febbre, con temperatura maggiore di 38°, specie se è associata a sintomi sospetti per infezione, come tosse, mal di gola, bruciore ad urinare.
In questi casi il medico potrebbe consigliarvi di eseguire un prelievo di sangue e di iniziare una terapia antibiotica; in qualche caso potrebbero essere prescritti dei fattori di crescita midollari, che sono dei farmaci che stimolano il midollo osseo a produrre globuli bianchi.
Tra un ciclo e il successivo, il vostro medico potrebbe indicarvi di fare dei prelievi di sangue, proprio per monitorare regolarmente un eventuale calo eccessivo di globuli bianchi, di emoglobina e di piastrine. Tuttavia, questi prelievi non sono sempre necessari ed è possibile che dopo la terapia il solo prelievo che dovrete ripetere sarà quello prima del ciclo successivo.
A casa va mantenuta una corretta idratazione, ad esempio bevendo almeno 1 litro e mezzo di acqua.
Per quanto riguarda l’alimentazione, durante la terapia con paclitaxel è da evitare l’utilizzo di pompelmo perché potrebbe aumentare il rischio di sviluppare effetti indesiderati; anche l’uso di alcolici è sconsigliato per lo stesso motivo.
Spero che questo video vi possa essere stato utile e che abbia acceso in voi qualche spunto interessante. Se è così, potete condividerlo sui vostri profili social, lasciare un commento, scrivere delle domande o curiosità qui sotto; noi saremo ben lieti di rispondervi.
Dal CRO vi salutiamo e vi aspettiamo nel prossimo video.

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